martedì 18 gennaio 2011

Gioia Tauro- Aponte ,gli addetti lavorano poco , lo scalo non è competitivo

«Gli addetti al porto di Gioia Tauro lavorano poco. Lo scalo non è competitivo e la Msc, secondo operatore di transhipment al mondo, è pronta a dirottare altrove le sue navi dove siamo gia' in condizioni di andare: al Pireo, a Port Said e in altri scali del Mediterraneo''. ». La colpa, aggiunge, «è delle persone che lavorano nel porto di Gioia tauro, dell’assenteismo che c'è nello scalo, della bassa produttività. Non ci conviene più: le nostre navi non possono aspettare in porto, devono essere caricate e scaricate nel più breve tempo possibile. Un porto come questo deve essere in condizione di lavorare 365 giorni l’anno e invece questo a Gioia Tauro non avviene». Ad affermarlo e' l'armatore Gianluigi Aponte, alla guida di Mediterranean Shipping Company S.A., in un’intervista a «il Sole-24 Ore» ''Credo- prosegue Aponte- che il futuro dello scalo commerciale di Gioia Tauro dipenda da quello che gli operai pensano di fare: sono gli artefici del rilancio o della fine di quel porto: soltanto garantendo l'efficienza del terminal salveranno il loro lavoro. Oggi il porto calabrese non e' competitivo''.
Per Aponte «non è un problema di costo del lavoro» e rivolgendosi ai sindacati dice: «Se volete salvare il porto e i posti di lavoro dovete fare appello ai lavoratori chiedendo loro di essere più presenti, di lavorare di più, di garantire efficienza». Secondo il numero uno di Msc «possiamo passare dagli attuali 2 milioni di teus all’anno a quattro milioni l’anno. Un raddoppio secco».

Rispondendo ad una domanda del giornalista del Sole sul ventilato contrasto con Contship, secondo alcuni alla base della mancanza di navi che ha portato al fermo di 30 ore a Gioia Tauro, Aponte precisa: ''i nostri rapporti con Contship sono piu' che buoni e noi saremmo anche interessati a entrare nella gestione del porto in società con Medcenter e con loro stiamo trattando".

In relazione alle dichiarazioni rilasciate dal Presidente della MSC Gianluigi Aponte, Antonino De Masi, uno dei reggenti di Confindustria Reggio, ripropone l’idea di un tavolo paritetico tra terminalista, compagnia di navigazione, sindacati autorità portuale e imprese: «Le parole di Aponte , sostiene De Masi – estremamente chiare e comprensibili impongono l’immediata apertura di un di un confronto tra le parti, sereno che porti ad una definitiva chiarificazione e affronti definitivamente le questioni poste dall’imprenditore italo svizzero in modo altrettanto efficace. Non affrontare questi aspetti con senso di responsabilità e con assunzione di impegni precisi da parte di tutti, pur nelle loro prerogative e ruoli, rappresenterebbe la morte di tutto il sistema economico calabrese. Se ciò non avverrà, se il porto dovesse andare incontro alla chiusura o ridimensionamento sarebbe devastante, visto che il lavoro rappresenta l’unico argine alla lotta alla ndrangheta. Prego Iddio che tutti gli uomini di buon senso riflettano ed agiscano in uno dei momenti più delicati della nostra storia».

il segretario della Cgil di Gioia Tauro, Antonio Calogero, replica alle parole di , Aponte: dicendo : «Le cose non stanno come ritiene questo nuovo Marchionne. Il problema di Gioia Tauro non sono gli operai del porto, bensì è la crisi generale del settore della portualità e del transhipment». «Si vorrebbe spostare il problema sulla qualità del lavoro, ma , la storia del porto di Gioia Tauro è legata alle ottime performances degli operai. Solo negli ultimi 2 anni si è registrata una flessione dell’attività non certo a causa dei lavoratori. C'è una crisi di sistema. Serve una legge di modifica che intervenga nel settore, concedendo alle autorità portuali maggiore autonomia in campo finanziario, affinchè possano destinare una parte del gettito alla competitività dei servizi e delle infrastrutture. C'è un problema di fiscalità. Occorrono interventi che rendano il porto ed il suo retroterra più appetibili, con l’impiego di nuove tecnologie più avanzate, già applicate altrove da tempo».