Raccomandata A.R.
- MINISTERO DELLE INFRAST.RE E DEI TRASPORTI
UFFICIO DI GABINETTO
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00100 R O M A
- DIREZIONE GENERALE PER IL TRASPORTO MARITTIMO E PER LE VIE DI ACQUE INTERNE (alla c.a. dott.ssa MOLTONI: stefania.moltoni@mit.gov.it–
- dott. ALATI: Giuseppe.alati@mit.gov.it)
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- COMANDO CAPITANERIA DI PORTO DI NAPOLI
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SOCIALI – D.G. Relazioni Industriali e dei Rapporti di
Lavoro– DIV.V – dott. Giuseppe MASTROPIETRO
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OGGETTO: Integrazione e sollecito esposto dello scrivente c.s.m Umberto Maltese del 23.09.2011, in ordine ai tempi di lavoro/riposo dei lavoratori marittimi e deroghe di cui alla Direttiva 1999/CE e relativi decreti attuativi Dlgs. 271/99, DPR n. 324/2001 e Dlgs. 108/2005, alla luce della risposta Dir. Gen. Relaz. Ind. Del Ministero del Lavoro e Politiche Sociali prot. N. 32/0004482/14.01.04.21.
A integrazione e sollecito risposta all’esposto di cui all’oggetto, si significa tutto quanto segue.
1)Innanzitutto, si prende atto della nota Dir. Gen. Ministero del Lavoro – Div. V – prot. N. 32/00004482/14.01.04.21 del 04.11.2011 – ricevuta per conoscenza – con la quale la predetta Direzione Generale – condividendo quanto sostanzialmente in ordine alla illegittimità della legge n 183/2010 rispetto alla Direttiva 1999/CE, comunica di aver ritenuto “… dover segnalare al proprio ufficio legislativo che la nuova che la nuova formulazione del comma 7 dell’art. 11 citato, introdotta dall’art.7, co.2 della legge n. 183/2010, non sembrerebbe tenere conto della disposizione della direttiva comunitaria, atteso che non viene più previsto l’intervento, delle autorità competenti, di autorizzazione del contratto collettivo derogatorio ed è venuto meno il richiamo normativo ai principi generali di sicurezza dei lavoratori…..”. Con essa, la Direzione Generale del Ministero del Lavoro – per quanto di competenza – ha dato solo una prima risposta ai quesiti posti dall’esposto in oggetto.
Invero, poiché si ha ragione di rilevare che in alcune realtà lavorative – in specie del Golfo di Napoli – che non solo non rientrerebbero nei c.d. “viaggi di breve durata”, ma addirittura gli equipaggi vengono esposti a ulteriori e maggiori archi lavorativi in un unico turno giornaliero e ben oltre le sedici ore continuative giornaliere, con grave pregiudizio della Sicurezza della Navigazione e della Vita Umana in Mare, si appalesa ancor più la necessità di pervenire ad una corretta e codificata definizione dei c.d. “viaggi di breve durata”, alla quale lo scrivente è interessato non solo come utente ai fini della sicurezza, ma anche per compiti d’istituto quale consulente e perito per sinistri marittimi. Ad ogni modo, circa il contrasto della legislazione italiana con le normative europee, ad adiuvantum con le determinazioni su menzionate del Ministero del Lavoro, si offrono le seguenti ulteriori considerazioni:
• La Direttiva europea, in modo imperativo, stabilisce che l’applicazione del regime delle deroghe all’orario di lavoro, sia pure per i c.d. “viaggi di breve durata”, rimane vincolata alla condizione che devono “ ……, nella misura del possibile, rispettare i modelli fissati ma possono tener conto di congedi più frequenti o più lunghi o della concessione di congedi compensativi per la gente di mare addetta alla guardia o operante a bordo di navi su brevi rotte” ed inoltre, che il ricorso a tali deroghe dovesse essere di carattere “contenuto” e, di conseguenza, non continuativo. Con tali premesse a carattere “imperative”, è chiaro che il ricorso alle deroghe è possibile solamente se le concrete possibilità di godimento dei riposi siano adeguate rispetto alle finalità di tutela della salute, perseguite sia dalla disciplina comunitaria e sia dalla legislazione interna, che ne costituisce attuazione.
Nei casi denunciati nell’esposto in oggetto, purtroppo, non solo non vi è perequazione tra l’impegno lavorativo per turni giornalieri anche superiori alle 16 ore continuative, ma contrariamente alla disciplina sia nazionale che comunitaria che per l’accesso alle deroghe prevedono l’accredito di riposi compensativi appunto a compensazione della maggiore prestazione lavorativa richiesta e quindi a carico del datore di lavoro, incredibilmente, si verifica che nei casi di specie, invece di fruire di riposi più frequenti o più lunghi e/o riposi compensativi da accreditare al personale in servizio di guardia (art. 12 DPR n. 324/2001), gli equipaggi si vedono detrarre una quota giornaliera in termini di ore di straordinario a compensazione della “turnistica” di lavoro/riposo, mentre ai comandanti e direttori di macchina viene addirittura detratta sullo statino paga una quota stipendio mediamente sui 500 € per ogni mese di lavoro. Nello specifico della CA.RE.MAR ad esempio, giova evidenziare che la turnistica del c.d. “rapporto 1-1” di cui alla Organizzazione del Lavoro è la stessa risalente alla Contrattazione Integrativa del 1981 , in applicazione all’art. 13 della Convenzione ILO n. 109 di cui alla Legge di ratifica 10 aprile 1981, n. 157, concernente anche la durata dell’orario di lavoro a bordo (max. 24 ore di lavoro nelle 48), dalla quale discese l’applicazione della turnistica di lavoro c.d. di “rapporto 1 – 1”, laddove il prestatore d’opera – a fronte dei riposi fruiti – metteva nel paniere le ferie, i riposi compensativi e le festività infrasettimanali maturate a bordo, in uno con una “trattenuta” giornaliera in ore di straordinario a compensazione appunto dei riposi fruiti. Posto che l’art, 1 della predetta convenzione 109 escludeva le figure dei comandanti e direttori di macchina dall’applicazione della stessa, inizialmente, a questi ultimi non veniva effettuata alcuna “trattenuta”, perché evidentemente prestatori di opera non competente: si pensi alla circostanza che contrariamente alle navi con in tabella almeno tre ufficiali, sulle navi di cui all’esposto, in quanto traghetti passeggeri RO-RO con un solo ufficiale di coperta o macchina alle dipendenze, il comandante e il direttore di macchina svolgono guardia continuativa di “navigazione” e di “conduzione” per tutto il turno continuativo di lavoro giornaliero di ben 16 e oltre. Con gli intervenuti strumenti legislativi n. 271/99, n. 108/2005 e D.P.R. n. 324/2001, di attuazione della Direttiva 1999/CE, portatori di maggiori garanzie in termini di orario lavoro/riposo, i riposi più frequenti o più lunghi da fruire e/o riposi compensativi da accreditare al personale in servizio di guardia da garantire a compensazione dell’applicazione delle eventuali deroghe all’orario di lavoro, avrebbero dovuto essere a carico del datore di lavoro, appunto a compensazione della maggiore prestazione offerta dal prestatore d’opera!!! Invero, nelle realtà lavorative denunciate avviene esattamente il contrario: Il prestatore d’opera, a fronte di un minore riposo e conseguente maggiore prestazione (ben oltre il limite delle 14 ore giornaliere), non solo non riposa ma lavora; non riposa, lavora e non riceve alcun corrispettivo ma, invece di usufruire del maggiore riposo garantito dagli intervenuti strumenti legislativi su citati, subisce una decurtazione dello stipendio a mezzo di una iniqua e considerevole trattenuta giornaliera in ore di straordinario e/o direttamente sul salario mensile!!! Il danno si aggiunge alla beffa se si considera che, da un lato trattasi di deroghe in termini continuativi di 16 ore e oltre di lavoro giornaliero rispetto al carattere “contenuto” raccomandato dalle norme “imperative” della Direttiva 1999/CE (lex specialis derogat generali), dall’altro le possibili ricadute da “affaticamento” sulla Sicurezza della Navigazione e della Vita Umana in Mare. Giova inoltre evidenziare che i marittimi, in forza di obsoleti accordi sindacali pregressi, ante Direttiva 1999/CE e Decr. Leg. 271/99 – 108/2005 e DPR 324/2001, nel periodo di turnistica in riposo a casa, devono dare la propria disponibilità/reperibilità – come peraltro frequentemente succede – alla chiamata anticipata, per cui in realtà, contrariamente alle normative comunitarie, essendo il marittimo perennemente in disponibilità dell’armatore, è come se non andasse mai in riposo effettivo. Pare legittimo chiedersi se in un comparto così ampiamente derogato, come nelle modalità sopra rappresentate, possa essere ulteriormente derogato in forza di un accordo sindacale (27 gennaio 2000) inopportuno, non richiesto e pertanto contro legem;
• In ordine al contenuto dell’art. 7, comma 2 dell’articolato L. 04.11.2010, n. 183 (Collegato al lavoro), giova ricordare il criterio di specialità secondo il quale, stante il conflitto tra una norma generale ed una speciale, si fa prevalere quest’ultima in forza del principio lex specialis derogat generali per cui, una norma può derogare solo norme classificate di pari grado o di grado inferiore nel sistema della gerarchia delle fonti giuridiche. Inoltre, anche laddove la Legge 04.11.2010 n. 183, art. 7 (modd. art. 11 Dlgs. 271/99) dovesse essere ritenuta di carattere ” prevalente “, si deve ricordare che nel sistema delle fonti con relativi regolamenti esecutivi (quali potrebbero essere definiti gli stessi Dlgs 271/99, dlgs. 108/2005, DPR 324/2001 in mancanza di regolamenti dedicati), questi cessano di avere efficacia a condizione però che siano abrogate le norme legislative delle quali disciplinano l’esecuzione: Invero, la legge 183/2010 ha modificato – in contrasto comunque con la disciplina europea 1999/CE – solamente l’art. 11 del dlgs. N. 271/99, non ha mai proceduto all’abrogazione ne del dlgs. 271/99 e dlgs. 108/2005 e ne il DPR 324/2001!!! D’altra parte, una tale disposizione di legge sarebbe in contrasto con la clausola di non regresso prevista dalle direttive europee nei casi – come di specie – ove non vengono rispettati i requisiti minimi delle stesse. Ad ogni modo, non si potrebbe in alcun modo applicarla o applicarla in contemporanea con il contenuto della Direttiva 1999/CE, atteso che ne deriverebbe inevitabilmente l’inosservanza e la disapplicazione di una o dell’altra. Da qui il parere che i giudici, laddove chiamati a decidere, potranno solo disapplicare il contenuto dell’art. 7 della Legge 183/2010, in forza del su menzionato principio lex specialis derogat generali. Alla luce di tutto quanto sopra, deriva che un intervento legislativo in materia non sia solo auspicabile ma imperativo ed urgente!
• L’intervento legislativo è altresì indifferibile perché l’eliminazione del carattere autorizzativo, introdotto dal Dlgs. N. 108/2005 in applicazione della Direttiva 1999/CE, a mezzo della modifica all’art. 11 introdotta dall’art. 7 della Legge n. 183/2010, si pone in contrasto con i contenuti della Direttiva 1999/CE medesima e, oltretutto, introduce problemi di legittimità costituzionale in ordine all’art. 36, comma 2 della Costituzione che sancisce la necessità di porre un limite massimo giornaliero all’orario di lavoro e pone una riserva di legge.
2)In ordine poi al corretto processo di validazione dei c. d. “Viaggi di Breve Durata” a cui far riferimento, si rende opportuno riproporre alcuni passaggi dell’esposto in oggetto:
• posto che la Contrattazione Collettiva – con una a dir poco singolare lettura del contenuto dell’ex art. 11, comma 8 del Dlgs. 271/99 (poi modificato con c. 7, art. 3 Dlgs. N. 108/2005) – con accordo sindacale 27.01.2000 ha dato una definizione dei “ viaggi di breve durata” inopportuna, incompetente e non richiesta e pertanto contro legem;
• nel ribadire il parere espresso nel primitivo esposto di pervenire – secondo il principio di analogia legis - ad una definizione preesistente nella legislazione italiana che non può che ricondursi ai contenuti dell’art. 1, comma 7, lettera c) della Convenzione OIL 133 e relativa legge n°158/81 (“Le navi marittime adibite a viaggio di breve durata che permettano, ogni giorno, ai membri dell’equipaggio o di tornare a domicilio o di beneficiare di vantaggi analoghi”) e/o al contenuto della Risoluzione IMO A.468, di sostanziale medesimo contenuto. Ciò posto, la Contrattazione Collettiva giammai può inficiare una norma di legge!!
A integrazione delle suddette considerazioni, sempre al fine di pervenire ad un corretto processo di validazione circa la definizione dei c.d. “viaggi di breve durata”, si ritiene offrire i seguenti ulteriori spunti di riflessione:
• appare evidente che laddove il comma 7 dell’art. 3 Dlgs 108 della nuova articolazione dell’art. 11 del 271 recita “per i lavoratori marittimi che operano a bordo di navi impiegate in viaggi di breve durata, o adibite a servizi portuali”, il legislatore intendesse legare la disposizione a due parametri contigui e non certamente, ad esempio su valori scala 10, porre a base il parametro minimale e legarlo poi ad una scala medio alta. Una lettura (e non interpretazione) corretta dell’articolato di legge conclude certamente nel senso che il legislatore, usando la dizione:”.. navi impiegate in viaggi di breve durata, o adibite a servizi portuali”, ha voluto indissolubilmente legare i c.d. “viaggi di breve durata” alla tipologia di navigazione – stabilita per legge – immediatamente superiore alla navigazione in ambito portuale. Ergo, se avesse inteso diversamente, avrebbe dovuto necessariamente fare riferimento a parametri più alti nella scala valori indicata ad esempio;
• Ciò posto, giova ricordare che le tipologie di navigazione sono ben definite nell’ordinamento giuridico italiano dal combinato disposto del D.P.R. 8 novembre 1991, n. 435 - Approvazione del regolamento per la sicurezza della navigazione e della vita umana in mare” e Dlgs 45/2000 – Attuazione della direttiva 98/18/CE. Infatti, laddove il DPR 435/91, all’art. 1, comma 41, recita: “ Navigazione locale: una navigazione che si svolge nell’interno di porti ovvero di rade,estuari, canali e lagune dello Stato, nel corso della quale la nave non si allontana più di 3 miglia dalla costa;”, emerge in modo chiaro e netto il riferimento al secondo parametro, ovvero “navi ……….adibite a servizi portuali”. Per converso, laddove il Dlgs 45/2000, art. 3, comma 1, recita:” classe D”: navi da passeggeri adibite a viaggi nazionali, nel corso dei quali navigano a una distanza massima di 6 miglia da un luogo di rifugio e di 3 miglia dalla linea di costa.”, emerge altrettanto chiaro il riferimento del legislatore al secondo parametro, ovvero “navi impiegate in viaggi di breve durata”, di cui al Dlgs. 271/99, ex art. 11, c. 8 – così come modificato dal Dlgs. N. 108/2005, art. 3;
• Ad abbundandium, si invita a considerare che il naviglio di specie, operante nel golfo di Napoli (sia privato che pubblico) è abilitato, e di fatto svolge, navigazione di “classe B” e di classe “C”, e non certamente di “classe D”. Ergo, pare evidente quindi che il naviglio di specie non rientra nei c.d. “viaggi di breve durata” i quali, viceversa, sono da ricondurre al succitato combinato disposto del Dlgs. 45/2000 e DPR n. 435/91, art. 1, comma 41.
• D’altra parte, è la stessa terminologia “minimale” usata dalla Direttiva 1999/CE a confermare la chiave di lettura su esposta;
• In ogni caso, quanti in indirizzo ben potrebbero chiedere l’interpretazione autentica di cui agli atti parlamentari.
Alla luce di tutto quanto sopra esposto, nella veste di utente, di consulente tecnico e perito penale di parte in processi pendenti presso la magistratura civile e penale, nonché personalmente interessato per cause di lavoro in corso, lo scrivente chiede di conoscere:
• l’esito complessivo dell’esposto in oggetto, anche alla luce delle su esposte integrazioni;
• il giusto processo di validazione, ovvero la corretta definizione dei c.d. “viaggi di breve durata”, anche in ordine alla definizione non richiesta, data dall’accordo sindacale del 27 gennaio 2000;
• quali atti conseguenti siano stati eventualmente adottati dalle Amministrazioni adite, al fine di ripristinare la corretta applicazione della normativa di settore a tutela della salvaguardia della Sicurezza e della Vita Umana in Mare, della salute e sicurezza dei lavoratori marittimi;
• quali provvedimenti eventualmente adottati laddove fossero riscontrate omissioni, anche penalmente rilevanti, dall’analisi del contenuto dell’esposto in oggetto, così come integrato.
In attesa di cortese riscontro, si coglie l’occasione per distinti saluti.
FORIO (NA), 18 maggio 2012